Sentenza n. 210 del 2022

SENTENZA N. 210

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133; dell’art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122; dell’art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135; e dell’art. 50, comma 3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n. 89, promosso dal Tribunale ordinario di Roma, sezione seconda civile, nel procedimento che verte tra la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno e la Presidenza del Consiglio dei ministri e altri, con ordinanza del 26 gennaio 2021, iscritta al n. 176 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 14 settembre 2022 il Giudice relatore Angelo Buscema;

uditi l’avvocato Alfonso Celotto per la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno e l’avvocato dello Stato Federica Varrone per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 14 settembre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale ordinario di Roma, sezione seconda civile, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 53, 97 e 118 della Costituzione, per violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità, buon andamento, sussidiarietà orizzontale – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 61, commi l, 2, 5 e 17, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133; 6, commi l, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122; 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135; 50, comma 3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n. 89.

Il giudice rimettente riferisce che, nel procedimento civile pendente dinanzi a sé, la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno ha chiesto di: a) accertare e dichiarare che l’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, laddove prevede l’obbligo di versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme derivanti dalla riduzione della spesa per consumi intermedi, non si applica nei suoi confronti e che la medesima non è pertanto tenuta a versare all’entrata del bilancio dello Stato la somma di euro 188.310,46; b) accertare e dichiarare che l’art. 50, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, laddove prevede l’obbligo di versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme derivanti dalla riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi, non si applica nei suoi confronti e che la medesima non è tenuta a versare all’entrata del bilancio dello Stato la somma di euro 94.155,23; c) accertare e dichiarare che l’art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, laddove prevede l’obbligo di versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme derivanti dalla riduzione delle spese per studi e consulenze, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, non si applica nei suoi confronti e che la medesima non è pertanto tenuta a versare all’entrata del bilancio dello Stato la somma di euro 34.966,75; d) accertare e dichiarare che l’art. 6, commi l, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21 del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, laddove prevede l’obbligo di versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme derivanti dalla riduzione dei costi degli apparati amministrativi, non si applica nei suoi confronti e che la medesima non è tenuta a versare all’entrata del bilancio dello Stato la somma di euro 76.685,45.

In via subordinata, in caso di mancato accoglimento della domanda principale volta a ottenere la pronuncia di accertamento negativo, riferisce il Tribunale che la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno ha chiesto di rimettere gli atti a questa Corte affinché si pronunci sulla legittimità costituzionale delle predette norme in riferimento agli artt. 3, 97 e 118, ultimo comma, Cost.

Il rimettente, nel disattendere le argomentazioni del ricorso, esclude il carattere discriminatorio dell’applicazione della normativa censurata anche alle Camere di commercio che si sono accorpate e hanno dato vita a un nuovo ente, come la Camera di commercio di Livorno e di Grosseto, ricorrente nel giudizio principale. Ciò posto, il giudice a quo ritiene di non poter definire il giudizio senza che siano prima risolte le questioni di legittimità costituzionale prospettate dal ricorrente: «la controversia si concentra esattamente sulla debenza o non debenza delle somme pretese dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ai sensi delle disposizioni indicate». La declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme in esame produrrebbe, difatti, la caducazione della fonte delle pretese creditorie del Ministero e del titolo giustificativo dei pagamenti operati in corso di giudizio.

Sul requisito della non manifesta infondatezza evidenzia il giudice rimettente l’impossibilità di pervenire a un’interpretazione costituzionalmente conforme delle norme censurate, atteso il loro tenore letterale chiaro e specifico.

Asserisce il giudice a quo che il dichiarato fine del contenimento della spesa pubblica non sarebbe congruente con l’obbligo di riversamento dei risparmi conseguiti dagli enti del settore pubblico al bilancio dello Stato; tale operazione, infatti, lascerebbe invariato il saldo complessivo della spesa consolidata, vanificando lo sforzo compiuto da tutti i soggetti tenuti al taglio. Essendo le disposizioni in esame destinate a valere per l’intero settore economico facente capo alla pubblica amministrazione – come definita, in ambito sovranazionale, dal regolamento (UE) n. 549/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013, relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell’Unione europea (cosiddetto SEC 2010), che sostituisce il regolamento (CE) n. 2223/96 del Consiglio, del 25 giugno 1996, relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità (cosiddetto SEC 95) e in ambito interno, dall’elenco pubblicato annualmente dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), sulla scorta, dapprima, dell’art. 1, comma 5, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)» e, poi, dell’art. 1, commi 2 e 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di contabilità e finanza pubblica» – l’operazione si tradurrebbe sostanzialmente in una diversa allocazione di spese nel complesso invariate, senza produrne la auspicata complessiva riduzione.

Nel merito, il giudice a quo ritiene che le norme in esame non sarebbero compatibili con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della intrinseca irragionevolezza del mezzo utilizzato rispetto al fine dichiarato e codificato dal legislatore, e con l’art. 97 Cost., sotto il profilo del buon andamento dell’amministrazione.

Il rimettente evidenzia, inoltre, che le norme censurate avrebbero valenza tendenzialmente sine die comportando, in tal modo, non solo l’imposizione di tagli permanenti di spesa – imposizione che avrebbe dovuto essere calibrata, sotto il profilo della congruenza e ragionevolezza, sui risultati via via conseguiti – ma anche obblighi permanenti di riversamento, rapportati a parametri cristallizzati nel tempo e quindi suscettibili di risultare superati e non più congruenti con la reale situazione economica dei soggetti obbligati negli esercizi finanziari successivi.

Le norme censurate sarebbero in contrasto con gli artt. 3, 53, 97 e 118 Cost., anche sotto il profilo della proporzionalità tra i sacrifici imposti alle Camere di commercio e il beneficio correlativamente conseguito dall’Erario (artt. 3 e 53 Cost.), frustrando gli interessi tutelati da tali enti facenti capo ai rispettivi iscritti, e intralciando la corretta ed economica gestione dei compiti amministrativi spettanti alle Camere di commercio, a fronte di utilità meramente patrimoniali e non adeguatamente delineate, con pregiudizio del principio di correttezza e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.).

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio concludendo per l’inammissibilità o, comunque, per la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.

Sostiene l’Avvocatura generale che le censure sollevate dal rimettente sarebbero contraddittorie in quanto il Tribunale stesso riconoscerebbe la debenza delle somme in argomento da parte della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno subentrante nella titolarità delle posizioni e dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, afferenti alle preesistenti Camere di commercio di Livorno e di Grosseto.

Il giudice a quo, inoltre, non avrebbe individuato compiutamente i termini delle questioni e non avrebbe motivato adeguatamente le ragioni che lo hanno indotto a sollevare il dubbio di legittimità costituzionale.

Nel merito, le norme censurate non risulterebbero in contrasto con i parametri costituzionali evocati. La scelta del legislatore di imporre il versamento dei risparmi di spesa all’entrata del bilancio statale non sarebbe irragionevole sotto il profilo del bilanciamento dei valori costituzionali ma, al contrario, sarebbe rispettosa del dettato dell’art. 97 Cost., che richiede alle amministrazioni pubbliche di assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.

Il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea altresì la natura tributaria dei diritti camerali costituenti entrate proprie dello Stato che ne determina la misura con decreto del Ministro dello sviluppo economico; le Camere di commercio sarebbero delegate a incassare tali tributi erariali, superando il meccanismo di stanziamento e trasferimento delle somme a carico del bilancio dello Stato.

L’inclusione nelle disposizioni censurate degli enti e organismi dotati di autonomia finanziaria consentirebbe il loro contributo al contenimento della spesa pubblica al pari degli enti beneficiari di trasferimenti diretti provenienti dal bilancio dello Stato. Con il versamento in entrata si otterrebbe un miglioramento del saldo netto da finanziare, determinando un effetto di riduzione della spesa complessiva della pubblica amministrazione secondo gli obiettivi di finanza pubblica indicati nei documenti di programmazione economico-finanziaria presentati alle Autorità europee, con conseguente minore necessità di reperire copertura e di ricorrere al debito pubblico.

Inoltre, il giudice a quo non avrebbe dato puntuale e distinta contezza delle motivazioni a sostegno della ritenuta non manifesta infondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 53 e 118 Cost.

Con memoria depositata il 18 luglio 2022 il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito la piena conformità al dettato costituzionale delle norme sospettate di illegittimità costituzionale, confermando le conclusioni preliminari e di merito già rassegnate.

3.– Si è costituita in giudizio la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno, ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per l’illegittimità costituzionale delle norme censurate dal rimettente per violazione degli artt. 3, 53 e 97 Cost. nella parte in cui si applicano nei suoi confronti.

4.– Nel giudizio è stata ammessa, ai sensi dell’art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigenti ratione temporis, l’opinione dell’ente Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Unioncamere) che cura e rappresenta gli interessi generali del sistema camerale italiano.

Unioncamere asserisce l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, per violazione degli artt. 3, 53, 97 e 118 Cost., nella parte in cui impongono alle Camere di commercio di riversare i risparmi conseguiti in attuazione degli obblighi di contenimento della spesa imposti dalle medesime norme al bilancio dello Stato. Le motivazioni addotte da Unioncamere sostanzialmente riproducono quelle formulate dal giudice a quo.

Nella pubblica udienza le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Roma, sezione seconda civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53, 97 e 118 Cost., per violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità, buon andamento, sussidiarietà orizzontale, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, commi l, 2, 5 e 17, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito; dell’art. 6, commi l, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito; dell’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito; dell’art. 50, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito.

I commi 1, 2, 5 e 17 dell’art. 61 del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, stabiliscono: «1. A decorrere dall’anno 2009 la spesa complessiva sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, […] è ridotta del trenta per cento rispetto a quella sostenuta nell’anno 2007. A tale fine le amministrazioni adottano con immediatezza, e comunque entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le necessarie misure di adeguamento ai nuovi limiti di spesa. 2. Al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni, riducendo ulteriormente la spesa per studi e consulenze, all’articolo 1, comma 9, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: “al 40 per cento”, sono sostituite dalle seguenti: “al 30 per cento”; b) in fine, è aggiunto il seguente periodo: “Nel limite di spesa stabilito ai sensi del primo periodo deve rientrare anche la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti”. […] 5. A decorrere dall’anno 2009 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2007 per le medesime finalità. […] 17. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui al presente articolo, […] sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato […]. Le somme versate ai sensi del primo periodo sono riassegnate ad un apposito fondo di parte corrente […]».

I commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21 dell’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, stabiliscono: «1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la partecipazione agli organi collegiali di cui all’articolo 68, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, è onorifica; essa può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; eventuali gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a seduta giornaliera. […] 3. Fermo restando quanto previsto dall’art. 1 comma 58 della legge 23 dicembre 2005 n. 266, a decorrere dal 1° gennaio 2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n.196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010. Sino al 31 dicembre 2017, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come ridotti ai sensi del presente comma. […] 7. Al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni, a decorrere dall’anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n.196, incluse le autorità indipendenti, […] non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell’anno 2009. L’affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. […] 8. A decorrere dall’ anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009 per le medesime finalità. Al fine di ottimizzare la produttività del lavoro pubblico e di efficientare i servizi delle pubbliche Amministrazioni, a decorrere dal 1° luglio 2010 l’organizzazione di convegni, di giornate e feste celebrative, nonché di cerimonie di inaugurazione e di altri eventi similari, da parte delle Amministrazioni dello Stato e delle Agenzie, nonché da parte degli enti e delle strutture da esse vigilati è subordinata alla preventiva autorizzazione del Ministro competente; L’autorizzazione è rilasciata nei soli casi in cui non sia possibile limitarsi alla pubblicazione, sul sito internet istituzionale, di messaggi e discorsi ovvero non sia possibile l’utilizzo, per le medesime finalità, di video/audio conferenze da remoto, anche attraverso il sito internet istituzionale; in ogni caso gli eventi autorizzati, che non devono comportare aumento delle spese destinate in bilancio alle predette finalità, si devono svolgere al di fuori dall’orario di ufficio. Il personale che vi partecipa non ha diritto a percepire compensi per lavoro straordinario ovvero indennità a qualsiasi titolo. […] 12. A decorrere dall’anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per missioni, anche all’estero, […] per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009. Gli atti e i contratti posti in essere in violazione della disposizione contenuta nel primo periodo del presente comma costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale. Il limite di spesa stabilito dal presente comma può essere superato in casi eccezionali, previa adozione di un motivato provvedimento adottato dall’organo di vertice dell’amministrazione, da comunicare preventivamente agli organi di controllo ed agli organi di revisione dell’ente. […] A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le diarie per le missioni all’estero di cui all’art. 28 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con legge 4 agosto 2006, n. 248, non sono più dovute […]. Con decreto del Ministero degli affari esteri di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze sono determinate le misure e i limiti concernenti il rimborso delle spese di vitto e alloggio per il personale inviato all’estero. […] 13. A decorrere dall’anno 2011 la spesa annua sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, per attività esclusivamente di formazione deve essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009. Le predette amministrazioni svolgono prioritariamente l’attività di formazione tramite la Scuola superiore della pubblica amministrazione ovvero tramite i propri organismi di formazione. Gli atti e i contratti posti in essere in violazione della disposizione contenuta nel primo periodo del presente comma costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale. […] 14. A decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese di ammontare superiore all’80 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009 per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi; il predetto limite può essere derogato, per il solo anno 2011, esclusivamente per effetto di contratti pluriennali già in essere. La predetta disposizione non si applica alle autovetture utilizzate dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per i servizi istituzionali di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Non si applica, altresì, alle autovetture utilizzate dall’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari. […] 21. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente articolo, con esclusione di quelle di cui al primo periodo del comma 6, sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato. […]».

Il comma 3 dell’art. 8 del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, stabilisce: «3. Ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, al fine di assicurare la riduzione delle spese per consumi intermedi, i trasferimenti dal bilancio dello Stato agli enti e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196 […], sono ridotti in misura pari al 5 per cento nell’anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall’anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010. Nel caso in cui per effetto delle operazioni di gestione la predetta riduzione non fosse possibile, per gli enti interessati si applica la disposizione di cui ai periodi successivi. Gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alle misure indicate nel periodo precedente; le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno. Per l’anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre […]».

Il comma 3 dell’art. 50 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, stabilisce: «3. […] Gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alla misura indicata nel periodo precedente; le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno […]».

Nelle more del giudizio, il legislatore è intervenuto in materia con una nuova disciplina. L’art. 1, comma 590 e successivi, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022) prevede, al fine di una semplificazione del quadro delle misure di contenimento, la cessazione dell’applicazione, a decorrere dall’anno 2020, della precedente normativa in materia di razionalizzazione della spesa pubblica (con esclusione di quella riferita al personale), e l’istituzione, sempre a decorrere dall’anno 2020, di un unico limite legato al valore medio delle spese effettuate per acquisti di beni e servizi nel triennio 2016-2018 come risultanti dai bilanci approvati, incrementato del dieci per cento. Tale normativa, tuttavia, non ha alcun effetto diretto sul giudizio a quo e, pertanto, non rileva nel presente giudizio di legittimità costituzionale.

1.1.– Il rimettente, nel disattendere le argomentazioni del ricorso, esclude il carattere discriminatorio dell’applicazione della normativa censurata anche alle Camere di commercio che si sono accorpate e hanno dato vita a un nuovo ente, come la Camera di commercio di Livorno e di Grosseto, ricorrente nel giudizio principale. Ciò posto, il giudice a quo ritiene di non poter definire il giudizio senza che siano prima risolte le questioni di legittimità costituzionale prospettate dal ricorrente: «la controversia si concentra esattamente sulla debenza o non debenza delle somme pretese dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ai sensi delle disposizioni indicate». La declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme in esame produrrebbe, difatti, la caducazione della fonte delle pretese creditorie del Ministero e del titolo giustificativo dei pagamenti operati in corso di giudizio.

Evidenzia, altresì, il rimettente l’impossibilità di pervenire a un’interpretazione costituzionalmente conforme delle disposizioni in esame, atteso il loro tenore letterale.

1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, la normativa censurata non sarebbe compatibile con gli artt. 3, 53, 97 e 118 Cost.

Il rimettente evidenzia che la predetta imposizione non sarebbe calibrata, sotto il profilo della congruenza e della ragionevolezza, rispetto ai risultati via via conseguiti dalle Camere di commercio, essendo rapportata a parametri cristallizzati nel tempo e quindi suscettibili di risultare superati e non più corrispondenti con la reale situazione economica degli enti camerali sottoposti all’applicazione delle norme censurate. Ciò costituirebbe un ulteriore profilo di contrasto con il principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.

Le disposizioni in esame sarebbero in contrasto con gli artt. 3, 53, 97 e 118 Cost. Esse sarebbero illegittime sotto plurimi profili: della dubbia proporzionalità (artt. 3 e 53 Cost.) tra i sacrifici imposti a tali autonomie funzionali e il beneficio correlativamente conseguito dall’Erario, in quanto risulterebbero frustrati gli interessi tutelati dalle Camere di commercio e facenti capo ai rispettivi iscritti, e sarebbero di intralcio alla corretta ed economica gestione dei compiti amministrativi spettanti alle Camere, a fronte di utilità meramente patrimoniali e non adeguatamente delineate, con pregiudizio del principio di correttezza e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.); della eccessiva frustrazione (anziché valorizzazione) delle economie di gestione conseguite dagli organismi ed enti del settore classificatorio della pubblica amministrazione (elenco ISTAT) e, tra questi, delle Camere di commercio, a detrimento dei principi di intrinseca ragionevolezza, proporzionalità, buon andamento dell’amministrazione, sussidiarietà orizzontale (artt. 3, 97 e 118 Cost.); dell’imposizione di un prelievo continuativo prevalentemente gravante sul patrimonio degli iscritti e dei soggetti tenuti ai versamenti obbligatori in favore della Camera di commercio, senza alcun rispetto dei principi (di rispetto della capacità contributiva e di progressività) codificati all’art. 53 Cost.

2.– In via preliminare, non può essere condivisa l’eccezione di inammissibilità dell’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui le censure sollevate dal rimettente sarebbero contraddittorie e non sarebbero stati compiutamente individuati i termini delle questioni, in quanto l’ordinanza è adeguatamente argomentata in ordine alle ragioni del preteso contrasto delle disposizioni censurate con i parametri costituzionali evocati.

Neanche può essere condivisa l’eccezione di inammissibilità in ordine alla contraddittorietà del petitum; esso risulta difatti chiaramente individuabile: sebbene inizialmente il giudice a quo si dilunghi nel descrivere la particolare situazione della Camera di commercio della Maremma e del Tirreno, è chiaro che l’ordinanza censuri le norme che impongono alle sole Camere di commercio i riversamenti in favore del bilancio dello Stato.

Il thema decidendum è quindi così circoscritto: dalla motivazione e dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione, si evince che le questioni sollevate in riferimento ai parametri evocati riguardano le disposizioni censurate limitatamente alla loro applicazione alle Camere di commercio, nella parte in cui prevedono che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato. La possibilità di limitare l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale a una parte soltanto della o delle disposizioni censurate – quando ciò si arguisce dall’ordinanza di rimessione – trova costante conforto nella giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 262 del 2020, n. 108 del 2019, n. 35 del 2017, n. 203 del 2016 e n. 244 del 2011).

3.– Ciò posto, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 61, commi l, 2, 5 e 17, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito; 6, commi l, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito; 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, e 50, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, sono fondate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nei termini di seguito precisati.

3.1.– L’applicazione alle Camere di commercio di tali disposizioni risulta irragionevole, a fronte della particolare autonomia finanziaria di detti soggetti, che preclude la possibilità di ottenere finanziamenti adeguati da parte dello Stato e interventi di ripianamento di eventuali deficit generati dalla gestione amministrativa dei medesimi.

Al fine dell'inquadramento delle questioni di legittimità costituzionale, è necessario ricostruire le peculiarità delle Camere di commercio. Le Camere di commercio sono dotate del carattere di autarchia: l’art. 1, comma 1, della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), afferma, infatti, esplicitamente che esse sono enti autonomi di diritto pubblico che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali (risultano in tal modo espressione delle imprese che compongono i diversi settori dell’economia provinciale, con funzioni di supporto e di promozione degli interessi generali delle imprese stesse).

Tale qualificazione è confermata dalla giurisprudenza di questa Corte, che le ha configurate come «ente pubblico locale dotato di autonomia funzionale, che entra a pieno titolo, formandone parte costitutiva, nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell’art. 118 della Costituzione» (sentenza n. 477 del 2000).

È stata precisata altresì la natura “anfibia” delle Camere di commercio, le quali sono, per un verso, «organi di rappresentanza delle categorie mercantili» e, per un altro verso, «strumenti per il perseguimento di politiche pubbliche»: da tale vocazione pubblicistica discende la qualifica di «enti di diritto pubblico, dotati di personalità giuridica» (sentenze n. 225 del 2019 e n. 261 del 2017).

Così, nella formula dell’“autonomia funzionale”, accanto ai caratteri dell’autogoverno e dell’autoamministrazione organizzativa e funzionale, è ricompresa anche l’autonomia finanziaria, cioè la richiamata assenza di finanziamenti statali correnti e di interventi finalizzati a garantirne il risanamento nei casi di deficit accumulati dalla gestione ordinaria.

Per questo motivo, tutti gli atti di gestione che comportino conseguenze economico-finanziarie per il bilancio delle Camere di commercio devono essere corredati – da parte dei loro organi decidenti – dalla verifica in ordine alle relative coperture, con la specificazione, per la spesa e per le eventuali minori entrate, degli oneri annuali e pluriennali al fine di mantenere un costante equilibrio nei saldi di competenza e di cassa nonché di fronteggiare gli eventuali scostamenti in modo tempestivo prima che il loro accumulo possa produrre deficit significativi e non riparabili con le proprie risorse.

Giova ricordare, in proposito, che l’art. 1, comma 1, lettera r), del d.lgs. n. 219 del 2016, modificando l’art. 18 della legge n. 580 del 1993, ha disciplinato in maniera puntuale le risorse destinate alle Camere di commercio, collegando il loro finanziamento al diritto camerale. La novella normativa ha eliminato la previsione che contemplava, tra le fonti di finanziamento delle Camere di commercio, anche entrate e contributi derivanti da leggi statali, da leggi regionali e da convenzioni, previsti in relazione alle attribuzioni delle Camere di commercio.

In tal modo il diritto camerale è divenuto il principale strumento di sostegno di iniziative finalizzate a tutelare e sviluppare quei settori economici capaci, a loro volta, di generare effetti di crescita e di occupazione.

Ciò posto, la normativa censurata, riducendo le risorse disponibili (ormai principalmente garantite da quelle versate dalle imprese) finisce per frustrare le aspettative che le imprese nutrono a seguito del versamento del diritto annuale alle Camere di commercio.

L’entità del diritto camerale che le imprese corrispondono alle Camere di commercio è stata, peraltro, oggetto di riduzione da parte del legislatore (art. 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari», convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114), nella misura del trentacinque per cento per l’anno 2015, del quaranta per cento per l’anno 2016 e del cinquanta per cento a decorrere dall’anno 2017.

Le predette riduzioni, incidendo in maniera progressivamente più gravosa sui bilanci delle Camere di commercio, hanno reso, dal 2017 – anno in cui è disposta a regime la riduzione del diritto camerale del cinquanta per cento – i sacrifici imposti dalle disposizioni censurate non più sostenibili e non compatibili con il dettato costituzionale. Conseguentemente, dall’anno 2017 e fino al 31 dicembre 2019 (dal 1° gennaio 2020 decorrono gli effetti della legge n. 160 del 2019, la quale all’art. 1, comma 590, prevede che «cessano di applicarsi le norme in materia di contenimento e di riduzione della spesa», sottoposte all’odierno scrutinio di legittimità costituzionale), l’obbligo di versamento allo Stato dei risparmi conseguiti mina gravemente la sostenibilità della gestione economico-finanziaria e determina un aggravamento dei bilanci di detti enti, le cui entrate risultano, a regime, effettivamente dimezzate.

Seppure l’imposizione di regole di contenimento della spesa può ritenersi appropriata alle finalità degli interventi legislativi in esame, operati in contesti di grave crisi economica, non appare altrettanto congruente con le finalità dell’intervento l’obbligo di riversamento di tali risparmi al bilancio dello Stato, vanificando lo sforzo sostenuto dalle Camere di commercio nel conseguire detti risparmi e lasciando invariato il saldo complessivo della spesa consolidata.

L’equilibrio della finanza pubblica allargata non può essere realizzato attraverso lo “sbilanciamento” dei conti delle Camere di commercio. È di tutta evidenza, difatti, come realizzare un punto di equilibrio macroeconomico attraverso il correlato squilibrio del sistema camerale costituisca una intrinseca irragionevolezza.

Ciò, oltretutto, provoca indubbi riflessi negativi sui servizi alle imprese.

3.2.– Il meccanismo delineato dalle disposizioni censurate non è inoltre ragionevole, non solo perché incide negativamente sulla piena realizzazione degli interessi tutelati da tali enti e facenti capo ai rispettivi iscritti, ma anche perché penalizza la corretta ed efficace gestione dei compiti amministrativi spettanti alle Camere di commercio, con pregiudizio del principio di correttezza e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.

La prospettiva costituzionale così sintetizzata evidenzia la fondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza e del generale principio dell’equilibrio del bilancio, obiettivo imprescindibile delle Camere di commercio.

4.– Quanto detto in generale si riscontra con riguardo a ciascun gruppo di disposizioni censurate dal giudice rimettente.

4.1.– Come in precedenza evidenziato, le disposizioni di cui all’art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, al fine di contenere la spesa complessiva sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della PA, prevedono la riduzione, in riferimento a percentuali variamente determinate, della spesa per studi e consulenze, anche conferiti a pubblici dipendenti, nonché di quella per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza. Tali disposizioni contengono, da un lato, una serie di restrizioni standardizzate e indifferenziate alla gestione amministrativa dei soggetti appartenenti al conto consolidato e, dall’altro, stabiliscono che le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le eventuali maggiori entrate siano versate annualmente ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato per essere destinate alla spesa corrente statale.

In tal modo, le disposizioni in parola sottraggono, attraverso l’obbligo di riversamento al bilancio dello Stato dei risparmi di spesa conseguiti dalle Camere di commercio, anche le somme versate dalle imprese, legate alla fornitura di servizi in favore delle medesime. Contemporaneamente viene violato il principio dell’autarchia funzionale, consistente nell’autosufficienza delle risorse per assicurare l’adempimento delle funzioni, ed è alterato l’equilibrio del bilancio del singolo ente.

Il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. viene, dunque, violato perché parte delle somme che potrebbero essere destinate alla missione istituzionale delle Camere di commercio, per il sostegno alle imprese nelle varie forme previste dalla normativa specifica, viene devoluta all’indifferenziata spesa corrente dello Stato.

Analogamente, la normativa in questione viola il principio di equilibrio del bilancio e di buon andamento dell’amministrazione, in quanto sottrae ai naturali destinatari gli eventuali miglioramenti in termini di efficienza della gestione, senza neppure il previo accertamento dell’esistenza di tale miglioramento.

4.2.– Le medesime argomentazioni valgono per le disposizioni di cui all’art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, i quali, nello stabilire una serie di tagli per le Camere di commercio, prevedono il riversamento di somme in favore del bilancio statale. Le disposizioni in esame presentano un irragionevole scollamento tra il loro specifico contenuto, la traducibilità in termini economico-finanziari dello stesso, gli effetti sul risultato di amministrazione e sugli equilibri di bilancio. Ed è ben chiaro che ciò comporta altresì un giudizio negativo in termini di compressione dell’autonomia organizzativa delle Camere di commercio.

4.3.– Anche il comma 3 dell’art. 8 del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, contrasta con gli artt. 3 e 97 Cost., per i medesimi profili inerenti alle disposizioni precedentemente prese in esame.

La disposizione viene in rilievo per la parte in cui prevede la riduzione della spesa per consumi intermedi. Essa statuisce per le Camere di commercio la conferma di restrizioni standardizzate alla peculiare gestione di tali soggetti, prevedendo che le somme provenienti dalle riduzioni di spesa per consumi intermedi siano versate “annualmente” – e quindi introducendo un regime pluriennale – ad apposito capitolo di entrata del bilancio statale.

In tal modo le disposizioni in parola sottraggono, attraverso l’obbligo a regime di versamento al bilancio dello Stato dei risparmi di spesa conseguiti dalle Camere di commercio, somme versate dalle imprese per perseguire le finalità istituzionali.

Così facendo viene altresì violato il principio dell’autonomia funzionale, consistente, per i profili in esame, nell’inderogabile autosufficienza delle risorse per assicurare l’equilibrio del singolo bilancio.

4.4.– Il comma 3 dell’art. 50 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, riproduce sostanzialmente il comma 3 dell’art. 8 del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, e per le stesse ragioni già illustrate contrasta con gli artt. 3 e 97 Cost.

5.– Per i motivi sopra individuati, e in virtù dell’acclarata peculiarità della situazione delle Camere di commercio, deve essere dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., degli artt. 61, commi l, 2, 5 e 17, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito; 6, commi l, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito; 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito; 50, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, nella parte in cui prevedono, limitatamente alla loro applicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.

6.– Restano assorbite le ulteriori censure sollevate dal giudice rimettente.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, commi l, 2, 5 e 17, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui prevede, limitatamente alla sua applicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi l, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito con modificazioni in legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui prevede, limitatamente alla sua applicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui prevede, limitatamente alla sua applicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 50, comma 3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n. 89, nella parte in cui prevede, limitatamente alla sua applicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 settembre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Angelo BUSCEMA, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 ottobre 2022.